L'uomo del derby, forse il più efficace successore di quel Dino Da Costa che ogni volta che vedeva il biancoceleste si scatenava.
Arriva a Roma nel novembre del 1995, in prestito dall'Inter, società con la quale è cresciuto. È una promessa, ma nulla di più e come tale, tutto da verificare.
Attaccante di movimento, è bravo a prendere palla e andare in progressione, nonostante un fisico da ariete.
A Roma, esplode subito, tanto da spingere Sensi a prelevarne tutto il cartellino. E non se ne pentirà di certo, anche se il rapporto di Delvecchio con il pubblico non è sempre rose e fiori.
Perchè lui, ha la strana abitudine di partire dalla panchina all'inizio dell'anno e di ribaltare le gerarchie.
Come succede con Fonseca, quando arriva Fabio Junior dal Brasile o quando costringe Capello a mettere in panchina Montella, in quanto non può fare a meno della sua abilità nel rendere più corta la squadra.
Il pubblico non capisce e a volte lo fischia, in quanto non riesce a capire quello che ha invece intuito il tecnico.
La reazione di Delvecchio, ormai consolidata nel tempo, consiste nell'andare sotto la curva, dopo ogni rete, a mostrare le orecchie, che se all'inizio viene visto come un vezzo per sentire ancora di più gli applausi che si merita, nei momenti di rapporti difficili viene vista come una provocazione, come a dire: "E adesso, mi fischiate ancora?"
Poi, col tempo, assume una nuova caratteristica, quella che lo spinge ad impallinare a ripetizione la Lazio e qui, succede il miracolo: diventa un vero e proprio beniamino della tifoseria e ribalta un rapporto che sembrava sul punto di naufragare.
Detiene insieme a Dino Da Costa e al grandissimo Francesco Totti il record di reti segnate in campionato proprio alla Lazio: 9 gol.